SI SCRIVE VACCINO, SI LEGGE GEOPOLITICA (PT. 1)

Articolo a cura di Filippo Simeone e Ernesto Bossù.

Siamo ad un anno preciso dal primo lockdown in Italia per via dell’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19. Le nostre vite sono state stravolte in tutte le declinazioni: dalla scuola al lavoro, ai propri hobby, fino anche a personali riferimenti e stati d’animo, come l’ansia crescente tra i giovani e non solo, e la percezione del tempo che scorre diversamente. Nulla è uguale a prima, tranne la Geopolitica.

La diplomazia e l’esercizio del soft power sono da sempre punti cardine delle potenze mondiali, anzi si è potenza mondiale solo se si è in grado di sfruttare ogni occasione e ogni pretesto per aumentare la propria sfera d’influenza e screditare il competitor.
Anche in questi tempi di pandemia la Geopolitica non si è fermata, anzi, ha semplicemente cambiato forma, come fa sempre.

Si è passati, ad esempio, durante la Guerra Fredda dall’ostentazione delle medaglie d’oro nelle Olimpiadi, alla corsa allo Spazio e alla Crisi missilistica di Cuba, mentre oggi tra i vari temi caldi troviamo gli aiuti militari dei Russi in Siria e in Armenia, gli Accordi di Abramo degli USA di Trump o il neocolonialismo cinese in Africa.

Il più importante, però, è sicuramente lo sviluppo e alla distribuzione del vero oro in questi tempi: il vaccino.

Il siero contro la nuova forma di SARS è diventata la nuova merce per imporre e consolidare la propria potenza, ma anche per ripulirsi politicamente agli occhi di molti paesi, soprattutto quelli in via di sviluppo. Si punta proprio a questi, perché aggredibili economicamente per renderli moderni vassalli, immettendoli nella propria cerchia di paese “amico”.

Oltre all’influenza esterna, occorre considerare la propria popolazione interna, perché creare il prima possibile l’immunità di gregge significa avere un vantaggio strategico economico senza eguali. C’è, però, chi mette in secondo piano i propri cittadini, ma non l’influenza che esercita verso gli altri.

Non tutti hanno la volontà e la tradizione storica di rendersi perno per altri, ma anche tra chi ha questa propensione vi sono oggi disparità di mezzi a disposizione e di tempo, elemento sempre troppo sottovalutato. 

In questo articolo cercheremo di analizzare cosa stanno facendo vari paesi nel Mondo e alla fine cercheremo di tirare le somme di questo gioco di scacchi, ma sia ben chiaro che la situazione è in continua evoluzione e forse le trasformazioni e i nuovi equilibri non saranno così palesi nel breve periodo, ma le ripercussioni ci saranno ugualmente.

Israele: una immunità di gregge per nascondere le crisi

Quando i governanti ragionano su come muoversi cercano quasi sempre di non far vedere le proprie mosse per nascondere azioni di propaganda e di influenza. Si cerca sempre di essere discreti e molto diplomatici, ma se il paese di cui stiamo parlando nasce imponendosi su un territorio altrui e per legittimarsi monopolizza il dibattito interno con le tematiche di “accerchiamento del nemico che vuole distruggere la propria identità”, allora ogni azione deve essere palese e netta al fine di compattare la popolazione. Figuriamoci se poi questa narrazione è portata avanti da un premier di ultradestra e militarista che cerca da anni di creare uno “spazio vitale” prima che fantomatici “altri” conquistino il proprio paese.

Stiamo ovviamente parlando di Israele, che anche in questo caso non ha perso l’occasione per dimostrare quanto efficiente sia il proprio esercito nella gestione delle somministrazioni, quanto all’avanguardia sia la propria digitalizzazione e come il paese più occidentale in Medio Oriente possa essere un modello da replicare, tanto da propagandarsi in Europa come tale. Ad esempio, Danimarca e Austria hanno siglato un accordo con Tel Aviv, il cosiddetto “vaccinations nations”, una fondazione comune di ricerca e sviluppo e per elaborare un piano vaccinale congiunto.

Di suo, quello israeliano, è certamente un sistema sanitario pubblico e pratico, che nel 2019 Bloomberg ha messo al decimo posto nella classifica dei migliori SSN. Ed è per questo che nel 2020 il presidente Netanyahu ha siglato un accordo con Pfizer che prevede l’impegno di fornire dosi sufficienti per raggiungere l’immunità di gregge in cambio di aggiornamenti quotidiani di dati sull’andamento epidemiologico ed eventuali effetti, collaterali e non.
Tali dati sono molto richiesti dalle case farmaceutiche, perché la popolazione di Israele ha un codice genetico talmente vario da essere un tester molto significativo a livello mondiale.

Tutto ciò è possibile anche grazie a una PA con portali online accessibili e intuitivi, ma per gli anziani o per i disabili è attivo anche un servizio di assistenza che prevede il trasporto di andata e ritorno presso il centro vaccinale, senza dover richiedere appuntamento, per farsi somministrare la dose. La priorità è stata data agli operatori sanitari, ma dopo pochissimo è stata estesa prima agli over 60, poi 55 e infine agli over 16.

Questa strategia ha permesso al paese di uscire dal lockdown di dicembre e di tornare quasi completamente alla normalità, anche grazie all’istituzione di un “patentino” che riconoscesse gli immuni.

Il premier Benjamin Netanyahu in merito al piano vaccinale di Israele, fiore all’occhiello in questo periodo, è stato molto franco, affermando che nel Mondo della pandemia si è ormai fatta strada una nuova diplomazia tra gli Stati, ovviamente basata sui vaccini, quindi sarebbe pronto ad usarli per conquistarsi la benevolenza dei paesi amici.

Ma chi sono i paesi amici in tal caso? Per il premier israeliano ovviamente sono quegli stati pronti a riconoscere Gerusalemme capitale e aprirci delle vere e proprie ambasciate. Tale percorso si era già avviato con Trump mesi fa, ma la pandemia, o meglio la voglia di vaccino, ha accelerato il tutto.

Il piano è finito un po’ nel dimenticatoio, per polemiche interne allo stesso governo di Tel Aviv, sebbene faccia gola anche in Europa, come ad esempio in Austria, Danimarca e Repubblica Ceca.

Questa necessità di attrarre a sé l’attenzione e poi riversarla sulla legittimazione del proprio potere serve a Bibi per mettere all’ombra altre questioni.

Esempi sono, appunto, la crisi di governo tra il Likud (partito di Netanyahu) e Blu e Bianco (partito di centro-destra del ministro della Difesa Gantz, nonché avversario politico del primo ministro) che porterà il paese alle quarte elezioni in due anni e la questione palestinese sempre viva, che in tal contesto assume forme nuove, ma comunque disumane.

Se è vero che Israele al 16 marzo ha vaccinato 5 milioni di cittadini su 9 milioni di abitanti, compresi quelli nelle colonie della Cisgiordania e a Gerusalemme Est, non si può dire lo stesso degli abitanti non sottomessi allo strapotere di Tel Aviv. I palestinesi, soprattutto in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, rimangono ancora senza possibilità di vaccinazione e non basteranno le 2000 dosi concesse ai medici dell’Autorità Nazionale Palestinese all’inizio di febbraio per fermare la pandemia in quelle terre già martoriate.

Addirittura, Israele aveva bloccato per giorni le dosi del vaccino Sputnik V destinate a Gaza e in parlamento si è dibattuto di non consegnare neanche una fila, perché “sarebbero andati nelle mani di Hamas”.

Mentre si discute ancora chi debba vaccinare o meno il popolo palestinese, i contagi e i morti salgono esponenzialmente nell’indifferenza della comunità internazionale e nel compiacimento di Israele, che vede fare il lavoro sporco al virus e non più al proprio esercito.

Russia: il gigante di argilla che punta nuovamente alle stelle

Se si parla di Geopolitica, ovviamente, la Russia ha sempre un ruolo determinante. Sarà il carattere di Putin, novello zar a vita, oppure il sogno di ritornare ad essere l’URSS o semplicemente la tendenza imperialista che il popolo russo ha sempre avuto nel sangue, oppure tutti questi fattori insieme, ma fatto sta che nella discussione di oggi la Russia spacca a metà l’opinione pubblica occidentale.

Nell’agosto del 2020, a pochi mesi dall’esplosione del Covid-19, fu lanciato un vaccino di produzione russa, ma il mondo scientifico bollò il tutto come propaganda di Mosca.

Oggi, invece, si sta parlando insistentemente di sbarco dello Sputnik in Europa, in particolare in Spagna e Italia, in quanto vari esponenti medici si sono ricreduti sulle capacità di quel vaccino, tant’è che il Cremlino ha chiesto le scuse ufficiali da parte dell’Ema (Agenzia del Farmaco Europea) che lo aveva definito come “qualcosa di simile a una roulette russa”.

Oltre al lato tecnico-scientifico prevale per lo Sputnik V un elemento politico non indifferente: come può l’UE accettare gli aiuti russi dopo i vari scontri degli ultimi dieci anni? Il problema, quindi, è sicuramente anche politico, perché è un vaccino fatto a Mosca e non ad esempio a Berlino.

Per alcuni può essere una questione di moralità non accettare gli aiuti di chi uccide i dissidenti politici, oppure è una questione politica non cedere alle pressioni russe per poi in futuro, chissà, ritirare le sanzioni commerciali, ma per altri lo Sputnik V è la soluzione ai problemi ed è da mesi che si sta sprecando l’occasione.

Da notare, però, che proprio i partner europei hanno agevolato nella deposizione dei documenti all’EMA la società che detiene il brevetto sviluppato nel centro Gamaleja di Mosca, ma per ora è ancora tutto fermo.

Chi si fa meno problemi e ha accettato subito l’aiuto di Putin è stata l’Argentina, che già prima di Natale ha ottenuto le prime dosi.

Oltre ai dovuti ringraziamenti, le agenzie stampa confermano che tra il presidente Alberto Fernandez e Putin nel colloquio telefonico si sia parlato nel ciclico problema argentino per antonomasia: la bancarotta. Per evitare ciò, si è affrontata la posizione dell’Argentina nel Fondo Monetario Internazionale, che dovrebbe correre in aiuto del paese sudamericano se i conti pubblici non riusciranno più a reggere; ma basterà? Nel dubbio si prova ogni strategia e si chiede alla Russia di fare da garante.

Da notare, però, che l’Argentina, nonostante i suoi problemi economici, è un paese determinante nel Sud America e quest’ultimo è un territorio notoriamente considerato dagli USA il proprio giardino personale, tanto da ribaltare come se nulla fosse governi democraticamente eletti, ma che non andassero a genio all’inquilino di turno della Casa Bianca.

Per la Russia l’Argentina è solo uno degli accessi in quel continente, perché lo Sputnik è arrivato anche in Bolivia, Messico, Nicaragua, Paraguay, Venezuela. Paesi non proprio indifferenti, in quanto o molto vicini, sia geograficamente che geopoliticamente agli Stati Uniti, o con giacimenti di materie prime ancora troppo importanti per essere lasciate ad altri.

Un altro esempio è la Colombia, dove il presidente Ivàn Duque Marquez, storico alleato dei repubblicani statunitensi, ha autorizzato il vaccino russo, in quanto meno costoso (10 euro a dose, invece dei 20 della casa Pfizer) e più facile da trasportare grazie alle temperature richieste, che vanno dai 2 agli 8 gradi centigradi.

L’operazione di espansione dello Sputnik non si ferma al continente sudamericano, ma come riporta il sito ufficiale la diffusione è mondiale. Ad oggi sono 50 i paesi che hanno dato l’autorizzazione, mentre altri hanno già prenotato delle dosi, ad esempio: Algeria, Tunisia, Egitto, Iran, Bosnia ed Erzegovina, Serbia, Ungheria, San Marino e Italia, la quale vorrebbe produrla in casa.

Certamente un’espansione nel continente africano e in quello asiatico per i russi è solo una manna dal cielo, in quanto altrimenti non avrebbero potuto fare, ma la preda più prelibata è sicuramente l’Europa, quasi una preda naturale.

L’agenzia del farmaco spagnola è da settimane che è in contatto con le varie aziende del proprio territorio che potenzialmente potrebbero riconvertire la produzione per adattarsi alle esigenze dello Sputnik, perché se si trovassero il passo successivo sarebbe rilasciare permessi speciali che acconsentirebbero il vaccino russo e iniziare una campagna di massa.

In Italia, forse, si arriverà prima a questa conclusione. Il fondo RDIF (Russian Direct Investment Fund) e la società svizzera Adienne Pharma&Biotech che ha sedi produttive anche a Caponago (Monza, nel cuore del nord Italia), hanno raggiunto un primo accordo per la produzione che potrebbe raggiungere le 10 milioni di dosi entro l’anno, mentre altre due aziende nel Lazio sarebbero pronte a seguire questo esempio. A sostegno di ciò, dopo il mezzo stop di Astrazeneca e i ritardi già annunciati, il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti ha dichiarato che tra qualche giorno verrà stipulato un accordo tra lo Spallanzani di Roma e l’istituto russo per una sperimentazione scientifica in attesa dell’approvazione ufficiale dell’EMA.

Attenzione, però! RDIF non è nuova per chi si occupa di sicurezza nazionale, tant’è che il Copasir in una relazione di novembre considerava tale fondo come un cavallo di Troia per la penetrazione economica russa in Italia. Un esempio potrebbe essere quello di produrre in Lombardia delle fiale per poi distribuirle in Africa per cercare di imporsi anche lì come i salvatori.

Il vaccino del Cremlino, però, non sembra decollare internamente: in base alle banche dati disponibili sembra che solo il 4,6% dei russi (146 milioni di abitanti) abbia ricevuto il vaccino, mentre in Europa i numeri salgono fino a circa il 12% degli abitanti dell’UE.

Le motivazioni possono essere varie: da un minore contagio interno fino a quella di mettere in secondo piano la propria popolazione per ingraziarsi quelle di altri paesi.
Putin può fare ciò in entrambi i casi, perché il suo regime permette che la diplomazia predatoria che compie da sempre non venga attaccata da proteste interne, e quelle che vi sono vengono poi sedate in ogni modo.

Discorso opposto è quello USA: per Biden fino a quando non si avranno le dosi disponibili per tutti gli statunitensi non si inizierà con l’esportazione; ma come abbiamo visto il resto del mondo non vuole (e non può) aspettare gli americani, soprattutto quei paesi emergenti che sono quasi naturalmente spinti verso i vaccini russi e cinesi che costano la metà di quelli europei/statunitensi.

Un ottimo riassunto della strategia russa sono le parole dette alla CNN da Danil Bochkov, esperto in relazioni internazionali nel Consiglio russo: “È sempre più facile trattare con lo Stato che con un’azienda privata, che deve coprire eventuali rischi temendo enormi perdite. Con le società statali è più facile negoziare, soprattutto quando perseguono obiettivi politici”.

Cina: l’inizio del secolo cinese? Xi.

Il 2021 è un anno importante per il popolo cinese, non solo perché è l’anno del Bue che simboleggia determinazione, forza d’animo e laboriosità, ma anche perché il 21 luglio si festeggeranno i primi 100 anni della fondazione del Partito Comunista Cinese. Tutti questi auspici sono ben visti dalla dirigenza di Xi che cercherà, appunto, di sfruttare al meglio il vantaggio competitivo dovuto dalla fine della pandemia in Cina per superare gli USA nel primato come leader economico mondiale. A conferma di ciò basta leggere la relazione del piano quinquennale 2021-2025 del premier cinese Li Keqian per i lavori annuali del Congresso nazionale del popolo, che addirittura prevede il sorpasso nel 2028, quindi due anni prima del preventivato.

Sappiamo tutti la cronistoria della diffusione del virus, ma meno si è saputo da quando si è palesato il problema nel continente europeo, o meglio eravamo presi alla nostra di cronaca, ma la Cina non si è fermata. A dicembre è stato lanciato ufficialmente il programma di vaccinazione per il periodo invernale e primaverile per i gruppi chiave: chi lavora nelle dogane, chi nella catena del freddo (prodotti alimentari surgelati), gli operatori sanitari e chi lavora nel trasporto pubblico, fondamentale per metropoli con anche più di 20 milioni di abitanti. Questa rapida diffusione ha portato ad avere all’oggi meno di cinque casi al giorno in tutto il paese.
Il tutto è stato facilitato dalla “semplicitàdel vaccino, in quanto la tecnologia utilizzata si basa sulla classica tecnica del virus inattivo, che è anche molto meno costosa rispetto alla terapia genetica. In più va aggiunto che il trasporto può avvenire anche a temperature sopra lo zero, cosa impossibile per i vaccini occidentali.

Oltre agli elementi tecnici, ci sono quelli politici: i cinque vaccini cinesi sono stati autorizzati con molta facilità dalle autorità competenti locali e testate sui soldati fedeli alla Repubblica Popolare già poche settimane dopo il lockdown della città di Wuhan. Ciò ha permesso una sperimentazione immediata già nelle prime fasi degli studi.

Il rischio valeva la candela? Dove qui il rischio era la morte di persone “volontarie” e la candela era il vaccino. Per il PCC la risposta è stata affermativa.
In occidente una tecnica simile sarebbe stata bollata come immorale, le conseguenze sono davanti agli occhi di tutti.

La strategia è ovviamente quella di riprendere velocemente il cammino glorioso del Nuovo Sogno e della Nuova Via della Seta, anzi sfruttare la debolezza di paesi decadenti per acquistare nodi e infrastrutture strategiche a prezzo scontato.

In tale contesto, però, neanche i cinesi negano l’evidenza: Huang Yanzhong, esperto di sanità pubblica cinese del Council on Foreign Relation ha dichiarato che il vaccino è diventato uno strumento per incrementare l’influenza mondiale della Cina e imporre direzioni.

A rincarare la dose è stato lo stesso imperatore celeste Xi Jinping che ha più volte dichiarato che il vaccino cinese sarà un “bene pubblico globale”, anche per contrapporsi alla chiusura degli USA, che è stata assoluta con Trump, ma anche con Biden non sembra emergere così facilmente.

I primi paesi che hanno beneficiato della diplomazia dei vaccini cinese sono stati paesi asiatici che con gli Stati Uniti hanno da sempre avuto un occhio di riguardo, anche e soprattutto per paura dell’espansione cinese. Ad esempio, le Filippine, il Myanmar e la Malaysia, ma anche alleati storici come Vietnam, Laos, Cambogia, Nepal e Sri Lanka.

Le commesse più grandi sono state fatte dall’Indonesia che ha ordinato il vaccino Sinopharm per un totale di 3 milioni di dosi, mentre la Thailandia utilizzerà il Sinovac, altro vaccino made in China.

Come la Russia, anche la Cina punta al continente europeo, tant’è che in Serbia sono già arrivati due lotti da un milione di dosi. Anche Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca si sono interessati del vaccino cinese. Addirittura, nel paese di Orban il 32% dei vaccinati ha utilizzato la dose Sinovac.

Non vi sono solo paesi amici da aiutare, ma la Cina sta cercando anche di ostacolare i nemici storici, cioè Taiwan.

La conglomerata cinese Fusun è stata una delle finanziatrici del vaccino Pfizer-BionTech, vaccino che nell’isola di Formosa non è mai arrivato nonostante abbia richiesto 5 milioni di dosi, dosi che sono state bloccate qualche giorno prima della consegna prevista. Non vi è ufficialità della correlazione, ma dubitiamo che sia solo una coincidenza.

Va sottolineato, però, che forse questa è un’occasione sprecata dal PCC per ricongiungersi con l’isola ribelle e affermarsi come leader anche lì, imponendo de facto l’idea denghiana di “una Cina due sistemi”.

Come ogni potenza millenaria (e oggi oltre la Cina solo la Santa Sede ragiona in secoli e non in anni) lo sguardo non è mai fisso al presente, ma si guarda già al domani, perché la richiesta dei vaccini non si fermerà, anzi si prevede che le persone dopo questa esperienza richiederanno più vaccini, perché la pandemia ha portato anche a modifiche nella domanda di prodotti sanitari.

Per ora Pechino ha annunciato di aver avviato la produzione di massa del vaccino anti-covid per il proprio paese e quelli già nella sua sfera di influenza (69 paesi e due organizzazioni internazionali), ma punta ad arrivare alla produzione di 3 miliardi di dosi all’anno. Questi numeri sono stati sostanzialmente confermati da Feng Duojia, presidente della China Vaccine Industry Association, che in una intervista ha dichiarato al Global Times, cioè uno dei quotidiani che fa riferimento al Partito Comunista Cinese, che la Cina arriverà a produrre fino al 40% della domanda mondiale del vaccino.

Ovviamente il danno di immagine legato al coronavirus per la Cina è stato enorme, sia perché è il luogo in cui tutto è nato, ma anche per i ritardi nella comunicazione e il trattamento dei medici “dissidenti” che hanno dato per primi la notizia senza il beneplacito del Partito. La strategia, quindi, è quella di invertire la narrazione e presentare la Cina come la soluzione al problema e non la causa.
L’interruzione dei finanziamenti USA all’OMS è stato un assist perfetto per Pechino, che ha sfruttato il tutto per egemonizzare le attività dell’organismo e l’ingresso di medici internazionali sul suolo della Repubblica Popolare è stata vista come una grande apertura e sicurezza nella propria discolpa.

Questa nuova verginità politica cinese verrà usata da Xi e da tutto il gruppo dirigente comunista per continuare la cavalcata contro l’eurocentrismo e l’atlantismo attraverso il soft power, o meglio, attraverso l’imposizione della propria ingombrante presenza, in quanto per numeri di popolazione e di economia non si può fare altrimenti se non dialogare con il PCC.

Negli scritti del presidente cinese si legge fin dal 2013 che non sono intenzionati a comandare con il “baquan” (egemonia del dominio), ma con il “lingdaoquan” (egemonia come direzione) e un punto fondamentale di ciò è sicuramente la conquista culturale prima ancora di quella economica, perché si potrà essere anche la prima potenza per PIL al mondo, ma essere il paese guida significa essere il luogo cui si aspira a diventare o da cui essere protetti.

Filippo Simeone è studente magistrale di Economics and Public policy ad Unimore, e responsabile regionale GD Emilia-Romagna per welfare, tassazione e politiche abitative
Ernesto Bossù è uno studente del liceo classico L.A. Muratori a Modena, e militante GD Terre di Sorbara
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