RESISTENZA È UMANITÀ, ENTUSIASMO NEI VALORI E FARE FRONTE COMUNE
Articolo a cura di Andrea Fortini.
Se leggiamo la Resistenza attraverso le parole di chi l’ha vissuta, se ci addentriamo in quel mondo a 76 anni di distanza, tra le letture e le parole ricorrenti si rinvengono tre concetti fondamentali per descrivere quel periodo: l’umanità, l’impegno genuino e la collaborazione che caratterizzavano la lotta.
Con queste tre parole può essere spiegata buona parte della Resistenza e dei valori che poi quell’esperienza trasmise nella Costituzione. Si rinviene l’umanità in questa lettera presa dalle “Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana”:
“Pietro Benedetti
11 aprile 1944
Ai miei cari figli, quando voi potrete forse leggere questo doloroso foglio, miei cari e amati figli, forse io non sarò più fra i vivi.
Questa mattina alle 7 mentre mi trovavo ancora a letto sentii chiamare il mio nome. Mi alzai subito. Una guardia aprì la porta della mia cella e mi disse di scendere che ero atteso sotto. Discesi, trovai un poliziotto che mi attendeva, mi prese su di una macchina e mi accompagnò al Tribunale di Guerra.
Conoscevo già quella triste casa per aver avuto un altro processo il 29 febbraio scorso quando fui condannato a 15 anni di prigione. Ma questa condanna non soddisfece abbastanza il comando tedesco il quale mandò l’ordine di rifare il processo. Così il processo, se tale possiamo chiamarlo, ebbe luogo in dieci minuti e fini con la mia condanna alla fucilazione. Il giorno stesso ho fatto la domanda di grazia, seppure con repulsione verso questo straniero oppressore. Tale suprema rinuncia alla mia fierezza offro in questo momento d’addio alla vostra povera mamma e a voi, miei cari disgraziati figli.
Amatevi l’un l’altro, miei cari, amate vostra madre e fate in modo che il vostro amore compensi la mia mancanza.
Amate lo studio e il lavoro. Una vita onesta è il migliore ornamento di chi vive. Dell’amore per l’umanità fate una religione e siate sempre solleciti verso il bisogno e le sofferenze dei vostri simili.
Amate la libertà e ricordate che questo bene deve essere pagato con continui sacrifici e qualche volta con la vita. Una vita in schiavitù è meglio non viverla.
Amate la madrepatria, ma ricordate che la patria vera è il mondo e, ovunque vi sono vostri simili, quelli sono i vostri fratelli.
Siate umili e disdegnate l’orgoglio; questa fu la religione che seguii nella vita.
Forse, se tale è il mio destino, potrò sopravvivere a questa prova; ma se così non può essere io muoio nella certezza che la primavera che tanto io ho atteso brillerà presto anche per voi. E questa speranza mi dà la forza di affrontare serenamente la morte.”
Le Brigate Internazionali ne sono un altro esempio plastico: tanti ragazzi e ragazze, repubblicani, comunisti e socialisti uniti per la libertà e la democrazia. Erano “quelli che non si arresero”, quelli che, alla frase “chi non se la sente può andare”, rimasero con le mani tremolanti, ma con il cuore votato alla causa. Sono anche storie di chi, temendo la morte, abbandonò la lotta e di chi, pur conoscendo il rischio, proseguì la strada col fucile in mano.
Le parole dei sopravvissuti, le “Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana” ci mostrano dei partigiani molto diversi da quelli troppo spesso dipinti dalla narrazione generale come eroi. Non erano eroi, erano ragazzi come noi con ideali così forti da poterli mettere da parte per unirsi ad altri per un obiettivo comune. È un messaggio potentissimo. Ci dimostra che la collaborazione tra identità diverse è possibile. Ci dimostra che ognuno di noi non deve sentirsi schiacciato da chi nella storia ci sembra gigante perché in realtà giganti possiamo essere tutti: le parole chiave sono partecipazione e collaborazione.
Per le lotte di oggi possiamo veramente imparare qualcosa, non tanto per fare parallelismi tra il periodo storico di oggi e quello di ieri, ma per ricevere lezioni di umanità. Qualsiasi lotta ha le proprie difficoltà, ma la vera risposta che dobbiamo dare è sempre alla stessa domanda di quei giorni di 76 anni fa: “chi non se la sente può andare”.
Quest’ultima è una frase piena di schiettezza e semplicità, ma racchiude tutto il senso della lotta di Liberazione: per la democrazia, la libertà e la giustizia serve l’entusiasmo della nostra umanità, appunto, non muri divisori. Sono queste le missioni, sono questi gli insegnamenti più importanti della Resistenza, certamente non l’idealizzazione del fenomeno storico e di chi l’ha vissuto o arditi parallelismi storici tra presente e passato. Noi non possiamo sapere se saremmo mai stati come loro. Possiamo soltanto tenerci nel cuore le loro storie di paura, coraggio e dolore per portarle con noi.
Loro sono i nostri padri, i padri di tutti, le nostre madri, le madri di tutti. E hanno sofferto, come ogni uomo. Ma forse è proprio questo che li rende ai nostri occhi straordinari. Oggi se vogliamo onorare questa giornata come singoli, ma anche come Giovani Democratici, parafrasando Germano Nicolini, dobbiamo riflettere, ragionare con la nostra testa e continuate la loro lotta per un mondo di libertà, un mondo di giustizia, un mondo di pace e un mondo di fratellanza e di serenità.